giovedì 22 ottobre 2015

Genova: sarebbe un perfetto piano di marketing per il turismo e non solo, ma vaglielo a spiegare a 'sta gente che ci amministra.

Capire i genovesi è dura. Anche dire “genovesi” è arduo.
Genova esiste da quando è nata Roma, dal 
700 a. C., loro arroccati sul Castello scendevano verso il molo e sulla spiaggia per lavorare, aggiustare le reti per la pesca e scaricare e caricare le merci che arrivavano da posti lontani. Erano fenici quelli che arrivavano, etruschi e greci e alcuni si fermavano la notte, fuori dal Castello con qualche donna, per poi ripartire.

Erano grandi i bambini di quelli lì quando arrivarono i romani che ai “genuati” piacquero più che agli altri liguri. Militari, ordinati e pagavano. Avevano bisogno dell’approdo e con loro portavano merci mai viste prese chissà dove. Genova si andava popolando e loro la disegnarono come sapevano fare soltanto loro, dei maestri.
La città vecchia è ancora sulle direttrici che hanno tracciato i romani, linee rette e perpendicolari, precise. Quando venne Magone, il cartaginese, gli uomini furono uccisi e tutte le donne stuprate e i figli che nacquero erano mezzi africani.
E nella Genova che venne ricostruita vissero anche loro.
Fai presto a dire “genovesi”.
E poi andarono via i romani che Genova era un centro importante e per un po’ di tempo, diversi secoli, era più facile morire che vivere. Tutti venivano a Genova a trovare riparo dalle invasioni di popoli lontani e feroci 
e vennero anche i milanesi e la cosa non piacque molto.
E fai presto a dire genovesi.
Genova non aveva una piazza centrale, mai avuta. Era divisa per famiglie. Piccole corti intorno ai palazzi stop. In eterna guerra fra loro. Stop.
Carlo Magno pretese che erigessero delle mura per difendersi e lo fecero ma mica tanto volentieri. Un giorno una fontana cominciò a sputare sangue e la cosa non diceva niente di buono. Arrivarono i saraceni e misero a ferro e fuoco la città. Uccisero gli uomini e stuprarono le donne. Tutti i bambini che nacquero dopo nove mesi erano mezzi africani.
Fai presto a dire genovesi.
La città venne ricostruita più bella e ricca di prima e i traffici cominciarono a rifiorire, tutta l’Europa guardava verso Genova dove una moltitudine di uomini armati partiva per andare a liberare Gerusalemme. E divenne bellissima, ricca di palazzi e tesori, costellata di torri da cui i genovesi si tiravano tra di loro qualsiasi cosa, frecce, lance, pietre, pitali e merda.
I genovesi hanno sempre avuto un brutto carattere.
Lo diceva anche Dante Alighieri.
Branca Doria era talmente feroce che il sommo poeta lo mette all’inferno che è ancora vivo.
Quando l’imperatore manifesta l’intenzione di venire a Genova la cosa puzza di bruciato. A fare cosa?
Fu così che i genovesi, tutti uniti, costruiscono una mirabile muraglia in una decina di giorni. Che il Barbarossa lo deve ancora spiegare cosa ci veniva a fare a Genova e comunque quella volta le ricchezze rimasero ben al sicuro dietro le mura ma di piazze neanche a parlarne. Anzi con la polvere da sparo dalle torri si sparavano, i genovesi. E così fu deciso di abbatterle le torri, tranne quella dell’Embriaco perché lui, proprio lui l’aveva liberata Gerusalemme, sul serio.
Altro che musse. Come dicevano e si dice ancora adesso.
Intanto Cristoforo Colombo, che era genovese, scoprì l’America ma siccome aveva due debiti, preferiva attraversare l’Atlantico a nuoto che farselo menare dai genovesi a casa sua. Nessuno è profeta in patria lo disse Gesù Cristo che poi non era neanche di Portoria che sarebbe stato ancora più difficile.
Ai crucchi le piaceva ‘sta città, clima dolce, donne quante ne volevano (almeno allora) e forzieri pieni d’oro. Il carattere degli abitanti era un po’ così ma anche loro non erano la simpatia a prima vista. Trecento anni dopo, armati e in forze occuparono la città e le donne furono tutte le loro.
E i bambini che nacquero nove mesi dopo erano mezzi austriaci e mezzi genovesi ma non fecero in tempo a vedere il loro papà perché nel frattempo uno un po’ più grande di loro, lo chiamavano “balilla” non gli andò di aiutare i crucchi a spostare un cannone e scatenò un macello. E i crucchi furono costretti a portare via gli stracci.
Hanno proprio un carattere difficile i genovesi, lo dicevano anche gli austriaci mentre scappavano.
E poi vennero i francesi e di nuovo gli austriaci e si morì di fame per strada e poi cadde un re e se ne fece un altro e un giorno, niente, esce fuori che i genovesi erano sotto quei mezzi austriaci dei Savoia che quante volte gliele avevano suonate a Zuccarello ma niente. I Serenissimi non lo erano più tanto e soprattutto non lo sarebbero mai più stati.
C’era da fare l’Italia e i genovesi avevano delle idee. Sempre meglio dei Savoia. Un tipo con una bella parlantina passava svelto da via Lomellini dove abitava ai caffè di via Aurea dove si parlava di politica e dell’Italia.
Beppe, Mazzini Beppe aveva grandi idee, lo chiamano ancora oggi padre della patria, erano talmente toste quelle idee che quando lo vedevano i Savoia lo mettevano dentro senza passare dal via.
Grandi idee.
Geniali.
Muore in esilio che gli avrebbero tirato volentieri una schioppettata se lo avessero visto Beppe, i Savoia.
Mai compresi i genovesi.
Poi Garibaldi che però era di Nizza partì dallo scoglio di Quarto e in quattro e quattro otto arriva quasi sino a Roma a cannonate che lui ce l’aveva a morte con il Papa ma lo fermano prima e lo mandano in pensione. Almeno lui.
A Genova mandano giù il rospo dei Savoia e De Ferrari caccia tanto di quel grano per fare il porto che finalmente i genovesi la fanno la piazza e la dedicano a lui.
I genovesi sanno essere generosi quando vogliono.
Con parsimonia come conviene.
E poi ci sono le guerre e di nuovo i crucchi che gli tocca andare via a calci nel culo anche stavolta che i genovesi non hanno bisogno degli americani per farlo, anzi glielo potrebbero spiegare loro agli yankee.
Sembra che i crucchi dicessero che i genovesi avevano proprio un brutto carattere mentre si arrendevano a De Ferrari.
E poi ci siamo noi che arriviamo dai fenici, dai romani, dagli africani, dai francesi, dai crucchi ma che però abbiamo conservato il bene più prezioso.
Il nostro brutto carattere.
W Genova. W la Repubblica (di Genova)







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